| (Louis) |
| | MA sei scema? Ho scritto che QUESTO paralllelismo esiste. Comunque ho trovatp un articolo chiarificatore anche del dilemma Termopili-Salamina CITAZIONE I PASDARAN DELLE TERMOPILI Ahmadinejad protesta per il fumettone di Hollywood sulla leggendaria battaglia. Ma confonde i buoni con i cattivi di Siegmund Ginzberg
A Teheran qualcuno si è offeso. Film “ostile”, che si inquadra in un clima di “guerra culturale e psicologica”, l’hanno definito il ministro degli Esteri e il ministro della Cultura e dell’Orientamento islamico di Mahmoud Ahmadinejad. Hanno invitato tutti i paesi islamici a boicottarlo e a non cadere nella trappola della più volgare propaganda antiiraniana. Col risultato immediato che al mercato nero a Teheran vanno a ruba le cassette piratate. Si può anche capire. Anch’io provengo da una cultura in cui la cosa più grave che si può fare a qualcuno è insultare la memoria dei suoi antenati. “Non avrò per caso offeso il tuo papu, un tuo avo?”, è l’espressione che nel ladino, castellano viejo, dei miei antenati sefarditi, pur rotti e abituati ad ogni maldicenza, si usa per dire: “Ma che t’ho fatto?”. “300”, il film fumetto di Zack Snyder e Frank Miller che sta facendo furore nei botteghini americani insulterebbe gli antenati degli iraniani, presentandoli come infidi e sanguinari, ed esalterebbe le virtù militaresche dello spartano Leonida e dei suoi 300 caduti due millenni e mezzo fa nel difendere il passo delle Termopili, la Grecia e l’occidente dall’assalto di un esercito di due milioni e passa di invasori venuti dal medio oriente. La regola inviolabile per un film di Hollywood è che i cattivi siano cattivi e i buoni buoni. Nello specifico, i cattivi sono i persiani. Su questo non c’è rimedio. Ne abbiamo un’interpretazione di parte. A raccontare quell’episodio furono Erodoto e altri autori greci. Non abbiamo l’equivalente antico delle “Lettere da Iwo Jima”. Il film non l’ho visto. Magari è anche divertente. Frank Miller coi fumetti ci sa fare, Sin City era un gioiellino. Un fumetto è un fumetto. Certo, può essere brutto, propagandistico, noioso, stupido. Non riesco ad immaginare molti altri modi in cui possa risultare offensivo. Nel caso della storia delle Termopili, non è così scontato chi possa trovarsi offeso, e per che cosa. La cosa più curiosa è che, stando a come il vecchio Erodoto ci racconta come andarono le cose alle Termopili, e, più ancora, come ci si arrivò, a sentirsi molto più offesi potrebbero essere alla Casa Bianca e al Pentagono a Washington, piuttosto che a Teheran. Alla conferenza stampa di presentazione del film a Los Angeles un giornalista aveva chiesto: “Ma nel film chi fa la parte di George W. Bush, lo spartano Leonida o il persiano Serse?”. Il regista si era guardato bene dal rispondere. Aveva colto al balzo che l’ambiguità non poteva che aiutare gli incassi. La cosa curiosa è che, a quanto pare, metà dei critici e degli spettatori sono convinti che sia l’impero di Serse a evocare errori e limiti della superpotenza americana, che la sua fallita invasione dell’Europa possa essere una metafora per quanto non è andato nel verso giusto nella guerra americana in Iraq e per quanto potrebbe andare ancora peggio in una guerra all’Iran. Mentre un’altra metà è convinta dell’esatto contrario. E’ nel Libro VII delle sue “Storie” che Erodoto ci racconta di come, per completare un “lavoro incompiuto” lasciato a metà da suo padre, il capo dell’unica superpotenza mondiale dell’epoca, il re dei re Khshayarsha, più noto come Serse, aveva deciso di muovere guerra ad un ristretto gruppo di stati che, con il linguaggio dei nostri giorni avrebbe potuto definire “canaglia”. Riottosi alla globalizzazione, cattivo esempio per tutti gli altri dal punto di vista del rispetto delle convenzioni internazionali, fonte continua di guai, complotti, disordini e persino terrorismo, eternamente in conflitto con gli alleati dell’impero, e tra di loro, ciascuno contro ciascun altro, sfidavano a ripetizione i più elementari principi della convivenza internazionale. Turbavano la pace e la stabilità che l’impero persiano, da Ciro il Grande in poi, era riuscito a garantire ad un mondo sino ad allora devastato da guerre e campagne a ripetizione da parte di una delle tante potenze regionali ai danni delle altre. Ostacolavano i commerci con la pirateria. Avevano persino osato ammazzare gli ambasciatori che re Dario aveva inviato ad Atene e Sparta per cercare di indurli a ragionare, violazione inaudita e gravissima anche a quei tempi. Serse non ha il minimo dubbio che la ragione, oltre che la forza, stiano dalla sua parte e che, nel “conflitto di civiltà” in corso i veri “barbari” siano i greci. E’ lui a ritenersi il leader del mondo avanzato, per non dire dell’occidente. Non è millanteria, si tratta di un’opinione condivisa da gran parte del mondo di allora, paradossalmente anche da buona parte del mondo greco. I persiani sono di gran lunga superiori ai greci dal punto di vista economico e da quello dell’efficienza amministrativa. Il loro sistema postale è una meraviglia, hanno un notevole vantaggio in infrastrutture e comunicazioni, sono all’avanguardia nella medicina e nella scienza. Si ritengono superiori sul piano religioso e sul piano giuridico. Sono orgogliosi di essere monoteisti, rispetto ai greci che considerano adoratori primitivi di una molteplicità di demoni ed idoli, un politeismo che i zoroastriani chiamano semplicemente “La grande bugia”. Comunque sono più tolleranti, tendono a rispettare i templi e i culti degli altri. Non avevano asservito i popoli conquistati recandone degli schiavi, ne avevano rispettato i costumi e le usanze, ne avevano fatto strapie autonome, purché non minacciassero l’ordine dell’impero. Erano stati i primi a riunire popoli di etnie diverse sotto un singolo governo e un singolo sistema legale. E’ il greco Platone a considerare Dario come un legislatore che non ha nulla da invidiare a quelli della sua Attica e del Peloponneso. Per studiosi dell’antica Persia come Richard Frye, le leggi di Dario sarebbero state addirittura all’origine della Torah ebraica. L’insigne studioso sosteneva che era stata la Persia antica all’origine di un sistema di leggi internazionali, anzi che nella Persia di Dario si troverebbero i veri fondamenti del diritto romano, cioè i fondamenti del diritto occidentale tout court. Esagerato? Probabilmente. Ma questa opinione non avrebbe scandalizzato né Platone né Aristotele. Il fior fiore del pensiero greco ha per la Persia antica un rispetto e un’ammirazione non dissimile da quello che in tutto il mondo ha suscitato la “success story” del modello americano. Certo, quello era dispotismo. I greci avevano invece inventato la democrazia. Ma non erano in molti a vantarsene in Grecia. Le città stato greche difendono la propria libertà, ma non tendono a vantare una superiorità rispetto all’impero persiano. Platone era affascinato dai tiranni. Sparta era una dittatura fondata su un’ideologia militarista, un collettivismo spinto da far sembrare moderato quello dell’Urss italiana e un’idea della superiorità della razza e pratiche di eugenetica da far impallidire gli eccessi del Reich nazista. Gli spartani non scrivevano libri, erano xenofobi, non usavano moneta, non commerciavano, la loro era una società che mi ha fatto sempre venire in mente quella di 1984, un incubo militarista e totalitario. Eppure questo incubo affascinava le migliori menti della rivale democratica Atene. Bernard Knox ha osservato che sono stati gli autori dell’epoca della massima fioritura della civiltà di Atene a screditare e ridicolizzare, per i quasi due millenni successivi, l’idea stessa di democrazia. Socrate e Aristotele a Pericle preferivano i Trenta tiranni. Platone voleva mettersi al servizio del tiranno di Siracusa. Nessuno era scandalizzato più di tanto dal dispotismo persiano. Racconta Erodoto che, una decina di anni dopo la prima spedizione, condotta da suo padre Dario, Serse decide di sottoporre ad un’assemblea dei notabili del suo impero i progetti per farla finita con quelli che considera i nemici della civiltà, perché nessuno abbia l’impressione che “sia io a decidere tutto da solo”. Lo considera un dovere morale, le sue argomentazioni riecheggiano anche letteralmente molte di quelle che Bush figlio aveva addotto a sostegno della guerra contro Saddam Hussein, compreso l’elemento del dover vendicare un torto fatto al padre. “Mi accingo, gettato un ponte sull’Ellesponto, a condurre un esercito attraverso l’Europa, contro la Grecia, per vendicarmi sugli ateniesi di quanto hanno fatto ai persiani e a mio padre. Voi vedeste anche mio padre Dario impaziente di partire contro quella gente; ma è morto e non è riuscito a prendersi la rivalsa. Io, per lui e per gli altri persiani, non avrò pace finché non espugnerò e non darò alle fiamme Atene: sono stati loro per primi a macchiarsi di torti nei confronti miei e di mio padre…”, gli dice. I suoi consiglieri si dividono. Alcuni gli danno ragione, insistono non solo sul fatto che la spedizione punitiva è l’unica cosa giusta da fare, ma anche sul fatto che si tratta di una guerra che la superiore civiltà e potenza persiana non possono perdere. “E di che cosa avremmo paura? Di quale massa di gente? Di quali risorse economiche? Sappiamo come combattono, conosciamo la loro forza, che è ben poca cosa... Mio re, chi ti si opporrà sfidandoti militarmente, quando guiderai insieme la massa degli asiatici e la flotta intera? Io non credo che i greci arrivino a concepire una audacia sì grande; ma anche se ora mi sbagliassi e quelli, spinti dalla stoltezza, venissero a battersi contro di noi, imparerebbero che in guerra siamo i più forti al mondo”, gli dice Mardonio, impetuoso come un neocon. Altri, più realisti, che già avevano consigliato suo padre, lo invitano invece a seguire una linea più prudente. “No, non decidere di correre un rischio del genere, quando non ce n’è la minima necessità, dammi retta. Ora sciogli questa assemblea: un’altra volta, quando ti pare, dopo aver ben riflettuto fra te e te, ordina quel che ti sembra meglio”, lo esorta suo zio Artabano, uno di cui si potrebbe dire che aveva tenuto Serse sulle ginocchia da piccolo, quasi come zio Jim (Baker) con George W. Junior. “Anche un grande esercito è annientato da un esercito scarso… La precipitazione, in ogni cosa, è madre di errori, dei quali poi, di solito, si viene duramente puniti. Nell’aspettare c’è convenienza: se non appare subito evidente, col tempo lo si accerterà”, insiste. Alla grande impresa risolutiva militare contrappone un paziente lavoro diplomatico al fine di isolare gli avversari più pericolosi. Prevalgono i consigli degli altri. Nel 480 a.C. il più imponente esercito che il mondo avesse fino ad allora mai visto, attraversa i Dardanelli su una meraviglia di ingegneria, due ponti omposti da centinaia di triremi, e si appresta a dare una lezione ai Greci. Di “quanti soldati disponesse ciascun contingente non sono in grado di dirlo con esattezza (e nessuno lo dice), ma l’esercito di terra nel suo complesso risultò composto di 1.700.000 uomini. Ed ecco come furono contati. Radunati in un solo punto diecimila soldati e fattili serrare assieme il più possibile, tracciarono un cerchio intorno a loro; allontanati i diecimila, lungo questo cerchio alzarono un muretto, alto fino all’ombelico di un uomo; costruito il muretto, facevano entrare nello spazio recintato altri armati, finché in questo modo non li ebbero contati tutti. Finito il computo, li divisero in schiere per nazione…”. Sono curioso di vedere come se la sono cavata i costumisti di “300”: c’erano i persiani, così equipaggiati: un copricapo floscio, detto tiara, sulla testa, colorati chitoni con maniche intorno al corpo e corazze di piastre di ferro, simili nell’aspetto a squame di pesce; brache intorno alle gambe; invece di scudi portavanogerre di vimini e cuoio, sotto pendevano le faretre; avevano corte lance, grandi archi e frecce di canna; inoltre pugnali che pendevano dalla cintura lungo la coscia destra… I Medi marciavano equipaggiati allo stesso modo. In effetti tale abbigliamento è medio, non persiano… I cissi dell’esercito vestivano come i persiani in tutto e per tutto, ma invece delle tiare portavano mitre… Gli assiri della spedizione portavano elmi di bronzo: un intreccio metallico di fattura barbara, difficile da descrivere; erano dotati di scudi, lance e pugnali simili a quelli egiziani, in più mazze di legno con borchie di ferro e corazze di lino… I battriani militavano portando sulla testa copricapi molto simili a quelli dei Medi, ma archi di canna di loro fabbricazione e corte picche. I saci, che sono sciti, avevano in testa turbanti aguzzi che si ergevano dritti e rigidi e vestivano brache; avevano archi del loro paese, pugnali e inoltre asce del tipo sagari… Gli indiani, con indosso vesti fatte di fibre vegetali, avevano archi di canna e frecce pure di canna con la punta di ferro; gli ari erano armati di archi come quelli dei medi… I parti, i corasmi, i sogdi, i gandari e i dadici partecipavano con la stessa dotazione… I caspi marciavano vestiti di pelli animali e muniti di archi di canna di loro fabbricazione, di frecce di canna e di spade… I sarangi spiccavano per le vesti colorate e avevano calzari che arrivavano al ginocchio, archi e lance di Media… I patti, col corpo coperto di pellicce, portavano archi del loro paese e pugnali… Gli arabi erano cinti da ampie sopravvesti, e armati di lunghi archi a curvatura inversa sulla spalla destra. Gli etiopi, vestiti di pelli di leopardo e di leone, avevano archi fabbricati con rami di palma, lunghi non meno di quattro cubiti, e piccole frecce di canna, sulla cui estremità non c’era ferro ma pietra affilata, la stessa pietra in cui incidono anche i sigilli; inoltre erano armati di aste sormontate da un aguzzo corno di gazzella, a mo’ di punta, e anche di mazze con borchie di ferro… I libici militavano con vesti di cuoio, usando giavellotti dalla punta temprata”. Prosegue per pagine e pagine la dettagliata descrizione della fanteria, poi la cavalleria e la flotta. Il 9 agosto del 480 a.C., un piccolo contingente di opliti spartani e altri alleati (settemila soldati in tutto, i leggendari 300 erano la guardia di Leonida), cercò di fermare l’avanzata di questo immenso esercito nella serie di strettoie tra mare e montagna a picco che ha nome Termopili dalle vicine acque termali, e che controlla l’accesso alla piana di Atene. Mentre la flotta ateniese cercava di intercettare quella persiana all’ingresso dello stretto di Artemisio. Potevano essere molti di più, ma Sparta aveva risparmiato il grosso delle forze, e così avevano fatto tutti gli altri alleati. Erodoto riferisce che lo fecero perché erano impegnati in un’importante festività religiosa. Ma forse è solo una scusa. Militarmente, vista la disparità di forze, la posizione era difficile da mantenere. Anche se non ci fosse stato l’infame tradimento con la rivelazione del sentiero, uno sbarco persiano avrebbe potuto comunque prendere i difensori delle Termopili alle spalle. Tra gli esperti di storia militare c’è chi ha sostenuto che strategicamente fu un disastro, Leonida non ne imbroccò una, il suo fu un sacrificio sostanzialmente inutile da un punto di vista puramente militare. Ma di enormi conseguenze, nei secoli a venire, dal punto di vista di immagine, propagandistico. Un po’ come per tutti i kamikaze. Sul piano strettamente militare, per la coalizione delle città greche fu una sconfitta. Cosa che era chiarissima a Napoleone, che aveva mandato a dire al suo protetto Jean Louis David di non gradire affatto la sua famosissima grande tela su Leonida alle Termopili, perché non gli garbava che celebrasse una sconfitta. L’esercito persiano ebbe via libera su Atene e la rase al suolo. La catastrofe per i greci sarebbe stata totale se gli ateniesi non fossero riusciti a vincere la battaglia navale a Salamina. Ma ciò non impedì che la Grecia intera fosse occupata e posta sotto un governatore nominato da Serse. Il Gran Re a quel punto tornò in Persia, lasciando ordini per la ricostruzione di Atene. Ai greci vinti offriva piena autonomia, pace e persino ingenti aiuti per la ricostruzione. Per incredibile che possa sembrare, quelli rifiutarono, e invece si ricoalizzarono in un’insurgency che avrebbe costretto poco dopo i persiani al ritiro totale. Poi i greci si rimisero, come avevano sempre fatto, a massacrarsi tra di loro, seguì l’era delle atroci guerre del Peloponneso, tra gli ex alleati Atene e Sparta. Ad un certo punto fu Sparta, dimentica del sacrificio di Leonida, a cercare di richiamare in Grecia i persiani in funzione antiateniese. Ma quelli con fanatici del genere non vollero più averci niente a che fare. ecco un'intervista a Frank Miller. secondo te uno che parla in questo modo può simpatizzare per Bush? no, seriamente. NPR: A lot of people would say what America has done abroad has led to the doubts and even the hatred of its own citizens. FM: Well, okay, then let’s finally talk about the enemy. For some reason, nobody seems to be talking about who we’re up against, and the sixth century barbarism that they actually represent. These people saw people’s heads off. They enslave women, they genitally mutilate their daughters, they do not behave by any cultural norms that are sensible to us. I’m speaking into a microphone that never could have been a product of their culture, and I’m living in a city where three thousand of my neighbors were killed by thieves of airplanes they never could have built. NPR: And as you talk to people in the streets, the people you meet at work, socially, how do you explain this to them? FM: Mainly in historical terms, mainly saying that the country that fought Okinawa and Iwo Jima is now spilling precious blood, but so little by comparison, it’s almost ridiculous. And the stakes are as high as they were then. Mostly I hear people say, ‘Why did we attack Iraq?’ for instance. Well, we’re taking on an idea. Nobody questions why after Pearl Harbor we attacked Nazi Germany. It was because we were taking on a form of global fascism, we’re doing the same thing now. NPR: Well, they did declare war on us, but… FM: Well, so did Iraq.
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